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al testo di Dereck Louvrilanm
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Tutti gli appartamenti hanno vasi che gocciolano il nettare prodotto in cucina, diffuso nel salotto e consumato in una piazza comoda. Lei allora disse che avevo in mente il buio come un peso sullo stomaco. Un ambiente corroso che non fa distinguere il pensiero dall’alfabeto incerto che lo sostiene. Credo intendesse che la penombra contiene la singolarità degli occhi mentre libera dai confini i cuori in funzione. Mi corruppe. Disse, mi pare, "filtro da te", poi si spogliò. Era splendente in assetto di Venere. Le feci notare che quelle osservazioni rendevano il divano poco adatto a reggere il gioco, mentre una carezza sulla nuca avrebbe trasformato ogni battito in gemito. Dio è una espressione del genere e, in quanto morenti, questo ci serve. Lei concesse la schiena andando diritto a come la pensavo, ma l’anima, per il flagello della coniugazione e la supremazia del peccato, si era già data in pegno in forma di corpo, la sua compagine avversa. A modo mio le do il bene che posso come un acino, poi un altro ancora: a grappolo. La colgo dal mio filare. Mi trattengo. Per la sommità del seno dove giungo in affanno in grazia della sua disposizione millenaria. So che al buio la lingua può farsi luce. Divina mentre mi ricorda di non pubblicare simili orpelli.
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